La voce di Cecilia e Denis
Ci sono alcuni momenti, irripetibili incroci di spazio e tempo, in cui la vita pone una domanda e la risposta può cambiare per sempre il corso della vita stessa. Per noi quel momento è arrivato a quarant’anni: continuare a percorrere la strada conosciuta, quella strada che avevamo imparato a chiamare nostra oppure scegliere la “meno battuta”, il richiamo delle passioni, iniziare a immaginare una nuova idea di futuro?
I nostri porti sicuri erano molto distanti dai campi, ma abbiamo deciso di lasciarceli alle spalle e percorrere un sentiero che fino a quel momento esploravamo solo nei fine settimana passati a scoprire l’Italia in motocicletta. È in uno di questi weekend che abbiamo incontrato un inaspettato amico e abbiamo realizzato che non l’avremmo più lasciato. Alcuni lo chiamano “oro rosso” e come si dice, davvero, è la spezia più pregiata che esista. La più preziosa, poiché la sua coltivazione e la raccolta, rigorosamente a mano, necessitano di estrema cura e di un’attenzione molto simile a quella che si riserva alle persone che amiamo.
Così, abbiamo ricominciato a studiare, perché di studiare non si finisce mai, e abbiamo trasformato l’appezzamento di terra dove un tempo crescevano filari di vite per farne la sua casa proprio accanto alla nostra, ai piedi delle colline reggiane. Qualcuno in famiglia ha sbarrato gli occhi, forse ha pensato che fosse un pizzico di follia a guidarci, a suggerirci di rinunciare alle vacanze e a quei fine settimana per una spezia che si chiama zafferano.
Ma a volte va ascoltato, quel pizzico di follia, quando ti propone una sfida da raccogliere. Oggi è con lo zafferano che viviamo, è lui che scandisce i ritmi delle giornate. È per lui che nei lunghi giorni della raccolta la sveglia suona alle quattro del mattino e scendiamo nei campi con le tute e le torce, con il freddo o con la pioggia. Torniamo a casa coperti di fango, carichi di una stanchezza gentile, che ha tutto il sapore di una vittoria.
Non è facile allontanarsi dalle abitudini, ripensare alla vita com’era: di corsa, senza il tempo di osservare, di respirare. Ed è questo, il nostro progetto: un “ripensamento”, una riprogettazione del presente per riuscire a vivere e convivere con la natura, godere dei benefici che trasmette ai sensi, rispettare i battiti che compongono ogni momento.
Ci capita di intravedere la sorpresa negli sguardi delle tante persone che incontriamo, talvolta stupite nel percepire quanto di noi, della nostra storia, della nostra famiglia, affluisca quotidianamente nel nostro lavoro. Ma se potessimo scegliere come definirlo probabilmente non lo chiameremmo “lavoro”. Somiglia piuttosto a una meravigliosa avventura, alla chiave per aprire la porta di una felicità che solo fino a qualche anno fa sembrava irraggiungibile.
Perché forse sì, forse quella che abbiamo scelto era una strada in salita, forse era meno illuminata delle altre, più difficile da percorrere, ma non aveva importanza. Perché solo quella, era la nostra strada.
Credits:
Testi di Carlotta Fiore
Foto di Diego Rosselli
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La voce di Fernando
Come possiamo chiamare un passatempo che dura da quasi sessant’anni? Qualcosa che si intreccia alla vita in una trama tanto fitta da diventarne parte? Forse nemmeno il termine “passione” è sufficiente. Forse potremmo persino chiamarlo “amore”.
La voce di Maria Lina
Ogni famiglia ha le sue lezioni, insegnate o imparate, e se dovessi sceglierne una per descrivere la mia sarebbe questa: il cibo non va sprecato. È una cosa in cui mia madre era bravissima. È un monito che arriva da lontano, dal dopoguerra, da quel tempo difficile ma bellissimo in cui tutto era prezioso. È un insegnamento che ha il profumo delle croste di formaggio abbrustolite a Lagosanto, nella bassa ferrarese.
La voce di Maura
Mi presento: il mio nome è Maura e qualche tempo fa avete conosciuto mia madre Anna e i suoi erbazzoncini. Quello che ancora non sapete è che oggi, per farli, usa le verdure che mio marito pianta nel nostro orto. La mia storia è un po’ diversa dalla sua: ho sempre fatto la ragioniera e quando mi sono sposata non sapevo fare proprio niente in cucina. Allora ho chiesto alla mamma di insegnarmi quelle tre o quattro cose che mi piacevano e ho copiato le sue ricette nell’agenda che conservo ancora e su cui si legge la data 1980.